Slow Food Italia aderisce alla manifestazione di domani (mercoledì 8) indetta da Flai Cgil Puglia per denunciare lo sfruttamento e le condizioni di lavoro inumane dei raccoglitori di pomodori.
Secondo i dati del rapporto «Agromafie e caporalato» dell’Osservatorio Placido Rizzotto, sono 400 mila i braccanti agricoli impegnati nella raccolta di pomodori, di cui almeno 100 mila, cioè un quarto, subiscono forme di ricatto lavorativo e vivono in condizioni disumane. Lavorano dalle 8 alle 12 ore al giorno, per una paga media di 3 euro l’ora, il 50 per cento in meno di quanto previsto dalle norme nazionali. Purtroppo, il fenomeno dello sfruttamento del lavoro non riguarda solo la Puglia e il pomodoro, ma è stagionale e tocca altre parti d’Italia, basti pensare alla raccolta delle arance.
I nuovi schiavi delle campagne italiane sono una delle conseguenze dello strapotere della grande distribuzione organizzata e della concorrenza sleale nella commercializzazione di prodotti alimentari, spesso venduti a prezzi inferiori al costo di produzione. Gli imprenditori agricoli, per salvare le proprie aziende e non lavorare completamente in perdita, si rifanno sull’ultimo anello della filiera, il più debole, cioè i braccianti che faticano e sudano nei campi per pochi euro l’ora, tutti i giorni. Con tutti i rischi che ciò comporta sia sui luoghi di lavoro, sia nel tragitto verso le bidonville in cui spesso sono costretti a vivere.
Per uscire da questo circolo vizioso fatto di sfruttamento, azzeramento dei diritti e violenza, Slow Food Italia chiede al Governo sia introdotta l’obbligatorietà del prezzo all’origine: su ogni etichetta deve essere indicato quanto è stato pagato il prodotto agricolo al contadino, in modo che il consumatore possa scegliere catene di trasformazione e di distribuzione che privilegino la remunerazione del lavoro nei campi allo sfruttamento e al nuovo schiavismo.
«Facciamo appello – aggiunge il Comitato esecutivo di Slow Food Italia – a tutti i consumatori: quando andiamo ad acquistare i frutti della terra dobbiamo prestare la massima attenzione a non diventare complici di questo neo-schiavismo, evitando di scegliere le offerte al ribasso o marchi della grande distribuzione che praticano politiche dei prezzi aggressive e non etiche. Quando spendiamo i nostri soldi dobbiamo fare la differenza, privilegiando aziende e marchi che facciano della sostenibilità e dell’eticità un pilastro del proprio business. Il cibo deve essere un motore di cambiamento per la nostra società. Come Slow Food crediamo e investiamo in questo modello tutte le nostre risorse ideali. Il tema è al centro delle nostre politiche e sarà al centro di Terra Madre Salone del Gusto, la manifestazione che dal 20 al 24 settembre a Torino si svolgerà all’insegna dell’espressione #foodforchange, in cerca di un “cibo per il cambiamento” più equo per tutti».